Solo chiazze di parole. Entro nella sua stanza. Il
soffitto non è molto alto e fa freddo, mentre il primo fiocco di neve si posa
sul palmo della mia mano aperta, dove sparisce. Proprio come ha fatto lui. Piano
come il volo di una piuma da centinaia di chilometri di altezza. Fresco come la
pioggia di settembre che scorre sul suo volto. La neve continua a cadere,
attecchisce sul pavimento, sul letto e su tutti i mobili, sul mio volto
bagnato. Sopra e sotto cambiano angolazione e riesco a vedere tutti quei bambini
che giocano là dove non nevica più. Corro da loro, con i miei scarponi grossi e
scomodi. Inciampo, cado e rotolo vicino a un albero che si eleva in altezza fin
sopra le nuvole. A me sembra proprio così.
«Ehi, che fai, Forza! Vieni con noi!»
Gli altri bambini mi chiamano e io mi rimetto in
sesto solo per essere colpito dalle loro palle di neve e schernito dalle loro
risate; ma non c’è cattiveria in tutto questo, perché io sto ridendo con loro.
E passo al contrattacco, naturalmente. Non posso lasciarglielo fare come se
niente fosse.
Sono vicino a loro e qualcuno mi spinge. Mi
avvento su di lui, accompagnato dal coro di incitamenti degli altri. Sempre
ridendo, continuiamo a spingerci a vicenda, finché lui non mi tira un gancio in
pieno viso.
Mi massaggio la mandibola, poso sul bancone la mia
pinta e mi tiro in piedi.
«Che problemi hai, amico? Se la mia ragazza non
vuole avere niente a che fare con te, inizierei con il guardarmi allo specchio»
gli dico.
Lui è infuriato e si avventa su di me, ringhiando
come un cane randagio. Io blocco la sua avanzata e iniziamo a pestarci. Intorno
a noi la musica è un sottofondo metallico, ipnotico, dentro di me il cuore
martella all’interno del petto. Il pub è solo la platea del palcoscenico su cui si
sta svolgendo il vero spettacolo.
Le mie labbra toccano le sue e i miei piedi nudi calpestano
l’erba fresca. Lei è quella giusta, l’ho saputo dalla prima volta in cui l’ho
baciata. La sua pelle è bianca, candida come la neve. Mi piace la neve. Quand’ero
bambino adoravo giocare dopo una grande nevicata, quando le strade erano
scivolose e gli alberi sembravano tante piccole montagne innevate.
Lei mi ama, io l’amo. Ho fatto a botte, per lei;
ho lasciato la mia famiglia, per lei; ho trovato un lavoro e comprato una casa,
tutto per lei. E adesso, su questo prato in cima alla collina, dopo averla
baciata m’inginocchio di fronte alla mia donna, mentre le chiedo di sposarmi.
Vedo che con una mano si copre la bocca per la sorpresa e i suoi occhi luminosi
si fanno lucidi, come la neve fresca.
Le stringo la mano con forza e lei strilla. Sono
urla di dolore come non ne ho mai sentite prima d’ora, non provenienti da
quelle labbra così piccole.
«Forza, spingi!» la incita il medico.
In tutta risposta, lei continua a gemere e a
urlare, e le sue grida diventano mugolii e lacrime. Sta piangendo, la piccola
creatura tra le mie braccia, e mentre mio figlio piange, sto piangendo io.
Piango perché mia madre non ce l’ha fatta, infine.
Per anni ho vissuto insieme a mio padre, che mi ha raccontato delle storie
sulla propria vita. Mi ha descritto di come giocava con la neve, da bambino, di
come fossero altri tempi, più belli e più ricchi. Ha descritto il modo in cui
ha conquistato il cuore di mia madre, a piedi nudi sull’erba di una magnifica
collina. E ora è morto anche lui e non mi ha lasciato molto, anche se quello
che ho è molto prezioso.
Mi ha lasciato solo chiazze di parole. Entro nella
sua stanza. Il soffitto non è molto alto e fa freddo, mentre il primo fiocco di
neve si posa sul palmo della mia mano aperta, dove sparisce. Proprio come ha
fatto lui.
Pietro dell'Oglio
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