L’uomo indugiò troppo a lungo in cima alla rupe
scoscesa, la pistola carica in una mano. Anche se il pericolo incombeva e ne
era consapevole, non riusciva a staccare lo sguardo dal sole che si nascondeva
tra le nuvole e le montagne sullo sfondo del cielo.
Si allontanò di qualche passo, piano, senza
distogliere lo sguardo da quel panorama, quasi come se non volesse perderne
neanche un istante. Quando fu piuttosto lontano dal precipizio, finalmente
riuscì a rivolgere la propria attenzione a quello che stava facendo in quel
momento e a tutto ciò che avrebbe potuto perdere. Si allontanò e imboccò il
sentiero con l’intenzione di scendere a valle.
Qualcuno sparò nella sua direzione, mancandolo per
un soffio. Strinse i denti. Il sole era ormai tramontato del tutto e lui non
aveva con sé l’attrezzatura per gli scontri notturni. Sparò qualche colpo al
suo inseguitore e prese a correre nella direzione opposta. Non sarebbe dovuto
rimanere a osservare quel panorama, quel tramonto. Maledisse il proprio
sentimentalismo: l’avrebbe fatto uccidere.
Il suo inseguitore era più attrezzato e stava
guadagnando terreno. Sapeva cosa sarebbe successo. Provò a saltare per evitare
il colpo che sarebbe arrivato di lì a poco, ma il proiettile lo colpì al polpaccio
sinistro. Urlò e ruzzolò a terra di qualche metro; a causa del dolore e del
volo dovette allentare la presa della pistola, che cadde poco più avanti.
Il suo inseguitore si avvicinò fulmineo e gli
iniettò qualcosa all’altezza del collo che lo immobilizzò completamente. Si
avvicinò e gli tirò su la testa.
«Sì, sei proprio chi stavo cercando».
«Perché… vuoi uccidermi?» pronunciò l’altro, tra i
gemiti di dolore.
«Dovresti saperlo meglio di me», disse. Il viso
rugoso e privo di barba ostentava un’espressione di altezzosa derisione. Indossava
la divisa azzurra dei ripulitori. Gli
porse una mano. «Io sono l’agente Samay ka Majaak».
«Devi ascoltarmi. Niente è come ti è stato
insegnato fino a oggi» implorò l’uomo.
L’agente Samay rimase impassibile, con la mano
tesa in direzione dell’altro il quale, d’altro canto, era immobilizzato a causa
del veleno che gli era stato iniettato. «Io mi sono presentato. Vorresti dirmi
il tuo nome?»
L’espressione di derisione rimase immutata.
L’uomo strinse i denti. «Lasciami spiegare.
Ascoltami».
Il ripulitore puntò la propria pistola sulla
fronte dell’uomo steso a terra. «Ti ho fatto una domanda».
«Davvero vuoi sapere il mio nome? Aadamee…»
Un boato spezzò le sue parole. Dal buco che si era
creato sulla fronte dell’uomo sgorgò un rivolo di sangue.
Samay sistemò la propria pistola nella fondina e
si alzò, pulendo via la polvere dalla sua divisa. «Idiota».
I
L’agente Samay ka Majaak posò alcuni documenti
sulla propria scrivania e si diresse nello studio dell’ispettore del suo
distretto.
«Samay» lo salutò l’ispettore Sir, con un cenno
del capo. «Com’è andata là fuori?»
L’agente annuì, si avvicinò a una sedia e vi si
sedette. «Il doppio denunciato dal
signor Aadamee è morto».
Sir gli rivolse un’occhiata preoccupata. «Non è
sorto nessun problema?»
«Nessun problema». Tirò fuori da una delle tasche
della divisa un pacchetto di sigarette, estraendone una. «C’era però davvero un
bel panorama, su quella rupe scoscesa. Forse ci porto mia figlia questo fine
settimana».
«Sì, hai bisogno di rilassarti un po’».
«Grazie». Si rigirò la sigaretta tra le dita.
«Posso andare?»
«Certo, Samay», concesse l’ispettore; poi
aggiunse, prima che l’agente fosse uscito dalla stanza: «Un’ultima cosa. Il
signor Aadamee è in sala d’attesa. Vuole parlare con te. Vai a vedere cos’ha da
dire».
Samay annuì. «È un brav’uomo, quell’Aadamee».
Quando l’agente entrò nella sala d’attesa, il
signor Aadamee si alzò per cortesia. «Agente Samay», lo salutò. Era un uomo
piuttosto in età, calvo e con una folta barba grigiastra. Aveva il tatuaggio di
un serpente che si morde la coda poco sotto l’orecchio sinistro.
«Aadamee», rispose. «L’ispettore mi ha detto che vuoi
parlarmi».
«È così». Infilò una mano in tasca, come se stesse
cercando qualcosa.
«Andiamo fuori, ti spiace? Vorrei fumare questa
sigaretta». Se la rigirò tra le mani.
Aadamee tirò fuori dalla tasca un biglietto da
visita e lo porse all’agente. «In realtà volevo mostrarle qualcosa».
Samay
afferrò il biglietto. C’era un indirizzo. «Dovrei venire qui?»
«Se è curioso di sapere».
Samay scosse le spalle e fece per restituirglielo.
«Non sono curioso».
Aadamee si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «Lo
tenga, magari cambierà idea. In ogni caso, io l’aspetterò».
«Abbiamo finito?»
Annuì.
«Può andare a fumare la sua sigaretta, agente».
Mentre l’altro si voltava, aggiunse: «Io credo che verrà».
Samay si
richiuse la porta alle spalle e andò a fumarsi la sigaretta.
II
«Sono a casa!» disse Samay, richiudendosi la porta
alle spalle. Sua moglie venne ad accoglierlo con un gran sorriso.
«Bentornato caro, com’è andata la caccia?»
«Il doppio denunciato dal signor Aadamee è stato
piuttosto semplice da prendere» rispose l’agente.
Sua moglie gli lanciò un’occhiata interrogativa.
«E tu stai bene?»
Samay annuì. «Sì, sì. Certo». Si guardò intorno.
«Dov’è Betee?»
«Arriverà tra qualche minuto. Vieni, Samay, ti
porto qualcosa da bere. Così starai meglio».
«Sto bene» ripeté, infastidito; però la seguì in
cucina. Lei gli offrì un bicchiere di succo di frutta. Lo accettò volentieri e
bevve avidamente.
«Sai, Samay, a volte mi sembra tutto così
irreale».
L’agente continuò a bere in silenzio.
«Tutta questa storia dei doppi e delle linee
temporali alternative. I viaggi nel tempo. Sono così affascinanti e allo stesso
tempo irreali».
«Sono illegali» disse Samay. «E sarebbe tanto
meglio se non fossero reali».
«Se così fosse non esisterebbero i doppi» fece
lei. «E di conseguenza neanche i ripulitori».
Samay scosse le spalle, poggiando il bicchiere
vuoto sul tavolo. «Avrei potuto trovare un altro lavoro, in tal caso. Avrei
potuto fare il barbiere».
Sua moglie gli lanciò un’occhiata perplessa. «Il
barbiere?»
Dopo qualche istante di silenzio scoppiarono
entrambi a ridere.
«Mamma! Papà! Sono tornata!» esclamò una voce,
dopo che la porta dell’ingresso fu spalancata. Betee li raggiunse in cucina.
Era una ragazza di quindici anni, capelli corti e occhi chiari. Si rivolse a
suo padre: «Com’è andata, papà? Stai bene?»
Samay annuì con vigore. «Sì, sì, sto bene. Non
preoccuparti». Parve riflettere per qualche istante. «Betee? Domattina non c’è
scuola, giusto? Ti porto a vedere un posto fantastico!»
III
Il giorno seguente, Samay e Betee erano seduti
l’uno di fianco all’altra sulla rupe scoscesa ad ammirare il paesaggio che si
estendeva dinnanzi a loro, in attesa del tramonto. C’erano le montagne, in
lontananza, tra le quali si potevano scorgere macchie di civiltà. Sotto di loro
un fiume fluiva ambizioso in direzione del mare, dove aveva la sua foce a
delta. Si trovavano tanto in alto che il vuoto sembrava chiamarli, volerli
portare con sé.
«Sei ancora convinta?» disse a un tratto Samay,
spezzando il silenzio e spegnendo la sigaretta che aveva fumato fino a quel
momento.
«Di cosa?»
«Di diventare anche tu un ripulitore».
Lei abbassò la testa. «Lo hai detto alla mamma?»
«Non ancora. Ma prima o poi dovrà saperlo».
«Sì, è vero» convenne, ma non aggiunse altro.
Ritornò ad abbracciare con lo sguardo il panorama di fronte e sotto di loro.
«Betee» disse Samay dopo qualche minuto di
silenzio. «Questo è il luogo in cui ho ucciso il doppio denunciato dal signor
Aadamee».
Lei gli rivolse nuovamente l’attenzione, senza dire
nulla.
«Credo sia il luogo adatto per parlarti di una
cosa molto importante, Betee. Se dopo aver udito quanto ti sto per dire vorrai
ancora seguire le mie orme e diventare un ripulitore, be’, avrai tutto il mio
consenso».
La ragazza annuì.
Samay si inumidì le labbra e le chiese: «I viaggi
nel tempo sono illegali. Sai perché?»
«Certo», rispose la ragazza, prontamente. «Se un
individuo A viaggia indietro nel tempo si sposta su un’altra linea temporale –
quasi sempre generandone una nuova – dove sono presenti due A».
«L’originale di quella linea temporale e il suo
doppio, colui che ha viaggiato indietro nel tempo», completò Samay. «Il compito
dei ripulitori è quello di eliminare i doppi».
La ragazza annuì. «Solo che è strano tutto questo.
Fisicamente intendo».
«Non farci caso. Non è questo, comunque, il punto.
Sai bene che da quanto ti ho appena detto consegue che un ripulitore potrebbe
ritrovarsi di fronte al doppio di se stesso».
Betee abbassò lo sguardo. «Già, e tu come…?»
«Il tuo, Betee, l’ho già incontrato».
Lei strabuzzò gli occhi. «Come? Quando?»
«Eri nata soltanto da pochi mesi. Il tuo doppio era
di fronte a noi. L’ho capito subito perché nel chip impiantato all’interno
della mia testa è scattato l’allarme e mi è stata mostrata l’identità del
doppio. Ricordo la sua confusione. Ha balbettato le solite cose che dicono i
doppi: “Non è come ti hanno sempre insegnato”, “Lasciami spiegare, ti prego”;
cose così. L’ho osservato incantato, comunque. Nonostante tutto, si trattava
della mia bambina proveniente dal futuro. Non mi sono mai capacitato del fatto
che avesse potuto compiere un’infrazione di quel tipo; ma con le linee
temporali alternative e tutto quanto, be’, può succedere di tutto».
«E che hai fatto, dopo?»
«Lei si è girata, spaventata. Ha preso a correre.
Le ho sparato».
«È morta?»
«È morta».
Tra i due calò un silenzio imbarazzato, interrotto
dall’alba che spuntò tra le montagne in lontananza. Rimasero a osservarla senza
dire una parola; poi Samay tirò fuori una pistola.
«Questa apparteneva al doppio denunciato dal
signor Aadamee, non so perché l’ho tenuta». Sospirò. «Diavolo, Betee, non so
neanche perché io ti stia dicendo queste cose».
In alcune occasioni sentiva come se fosse necessario fare e dire determinate cose.
Non era mai riuscito a spiegarselo.
«E questo cos’è?» domandò Betee, afferrando il
biglietto da visita del signor Aadamee, che era caduto fuori da una tasca di
Samay.
L’agente glielo strappò dalle mani con rapidità.
«Niente». Poi le sorrise. «È meglio se ritorniamo. Ci aspetta una colazione coi
fiocchi!»
IV
Nel pomeriggio, dopo il lavoro, Samay andò dal
signor Aadamee. Non avrebbe voluto, ma era un altro degli avvenimenti che
dentro di sé sentiva che avrebbero dovuto prendere luogo necessariamente. Non
rimase a rimuginarci troppo su. Arrivò all’indirizzo segnato sul biglietto che il
giorno precedente gli aveva consegnato il signor Aadamee e bussò alla porta.
Venne ad aprirgli un uomo sui trent’anni, con un tatuaggio sotto l’orecchio
identico a quello del signor Aadamee: un serpente che si morde la coda.
Il chip impiantato nella testa di Samay si attivò.
L’agente estrasse la pistola e la puntò contro l’uomo. «Sei un doppio del
signor Aadamee!»
«Sei venuto ad accogliere il nostro agente senza
lo schermo, Aadamee?» disse una terza
figura che comparve alle spalle di Samay. Lui si voltò e lo vide. Anziano,
calvo e con la barba grigia: era il signor Aadamee che aveva incontrato nel
distretto dei ripulitori.
«Non è importante. Conosciamo già tutti quello che
sta per accadere» disse, e poi aggiunse, rivolgendosi a Samay: «Non mi
ucciderai, agente Samay».
«Vedremo!» Premette il grilletto e la pistola fece
cilecca.
«Infatti», sospirò il giovane Aadamee; poi
qualcosa colpì con violenza Samay sulla nuca e tutto si oscurò.
Quando riaprì gli occhi, Samay aveva mani e piedi
legate. Alla sua destra c’era una sfera fluttuante che emetteva bagliori
grigiastri. L’agente la riconobbe: era una macchina del tempo. Di fronte a sé,
però, vide con sgomento sua figlia Betee, legata proprio come lui.
«Papà…»
«Mi hai seguito!» esclamò lui, furioso. «Perché?»
«Mi sembrava necessario
farlo… Dovevo trovarmi anche io in questo luogo, con te…»
«Ma cosa stai…?»
Qualcuno batté le mani ed entrambi si zittirono.
Aadamee giovane fece la sua comparsa. «La tua cara figlioletta sta dicendo cose
interessanti». Si avvicinò a entrambi i due prigionieri e si sedette per terra,
incrociando le gambe. «Prima di gettarvi in pasto al vostro destino voglio
spiegarvi ogni cosa. Come ho sempre fatto con voi due e con tutti gli altri. E
come continuerò a fare».
Samay si accorse che nessun allarme era più attivo
nella sua testa.
«Te ne sei accorto» convenne Aadamee. «Il tuo
allarme scatta quando qualcuno instaura un contatto visivo con il se stesso del
passato. Lo schermo di protezione lo aggira senza troppi problemi».
«No! L’allarme scatta quando sono in presenza di
un doppio!»
Aadamee ridacchiò. «Questo è quello che vi hanno
sempre raccontato. La verità è un’altra. Non esistono linee temporali
differenti o cose del genere. Chi viaggia nel tempo si ritrova su un’altra
linea temporale? Ma quale assurdità. Il tempo è relativo e scorre in maniera
diversa per ogni singolo individuo».
«Cosa intendi dire?» azzardò Betee.
«Intendo dire che raccontano un mucchio di
stronzate ai ripulitori per nascondere il fatto che esiste un disegno, dietro
tutto quanto. Quando l’ho scoperto e dimostrato, parecchi anni nel futuro,
hanno ideato nel passato i ripulitori per fare in modo che nessuno potesse
parlare con il se stesso proveniente dal futuro, per non smascherare la
menzogna».
«Cos’hai… scoperto?» domandò ancora la ragazza.
«Betee» l’ammonì Samay.
«No, agente, mi piace la curiosità di tua figlia».
Si rivolse a lei. «Passato, presente e futuro, mia cara, sono definizioni
arbitrarie attribuite dall’uomo a qualcosa che non può neanche lontanamente
immaginare. Ognuno di noi vive il suo personale percorso. Qualcuno lo vive in
linea retta – e quindi passato, presente e futuro sono esattamente come ve li
raccontano –, ma altri sono rinchiusi in percorsi irregolari e, addirittura,
qualcuno è intrappolato in un cerchio. Ed è qui, mia cara, che sorge il
problema. Tutti i percorsi di tutti gli uomini sono, a loro volta, racchiusi
nel percorso dell’umanità. Questo è un cerchio. Affinché l’umanità esista nel
passato, dovrà succedere qualcosa nel futuro». Si rivolse a Samay. «Non ci sono
doppi, non ci sono linee temporali alternative. Se qualcuno incontra se stesso
avviene semplicemente perché nel suo percorso si genera un nodo. S’incastra con
se stesso».
«Vorresti farmi credere che tutto quello che
facciamo, tutta la nostra intera esistenza…»
«Siamo tutti ingranaggi di un meccanismo che si
genera da sé» completò Aadamee. «Anche la nascita dei ripulitori, in qualche
modo, è parte di tale meccanismo. Altrimenti saremmo tutti scomparsi da un
pezzo».
Comparve nella stanza il vecchio Aadamee. «Bene,
ora tocca a voi». Tirò su Betee. Le liberò i piedi e le mani; poi la condusse
accanto al globo fluttuante. «Toccalo».
Lei gli rivolse un’occhiata spaventata.
«Betee, non farlo» ingiunse suo padre. «Prendete
me, ma liberate lei».
Nessuna risposta. Il vecchio Aadamee si rivolse
ancora una volta alla ragazza. «Tocca il globo».
«Vi prego…» implorò Samay.
«Toccalo!»
Betee eseguì e scomparve.
Samay rimase imbambolato, mentre l’altro Aadamee
gli liberava i piedi e le mani. Gli fu riconsegnata la pistola.
«Ora tocca a te».
Non appena fu liberato, l’agente puntò la pistola
contro il giovane Aadamee. «Maledetti bastardi» inveì. «Dove l’avete mandata?»
«Dovresti chiederci quando l’abbiamo mandata. E finiscila con quella pistola, non
funziona così. In ogni caso il tuo destino ti sta aspettando».
Il vecchio Aadamee lo spinse verso il globo
fluttuante, che parve catturarlo a sé. Proprio come sua figlia, l’agente Samay
scomparve.
BETEE
Si ritrovò in una piazza gremita di persone. Si
guardò intorno per scoprire se ci fosse un viso familiare.
«Papà?» domandò, con un filo di voce. Abbassò la
testa dopo che qualcuno le rivolse un’occhiata incuriosita. S’incamminò, con la
mente piena di domande, e finalmente lo vide. Suo padre si trovava in fondo
alla piazza, in compagnia di sua madre. Iniziò a correre nella loro direzione.
«Papà!» lo chiamò. Lui le rivolse un’occhiata
confusa; poi Betee vide che sua madre aveva tra le braccia una bambina di pochi
mesi. Arrestò la corsa, con una terribile consapevolezza che si faceva largo
nella sua mente.
Il volto di suo padre ebbe uno scossone. Era l’allarme
che scattava in presenza dei doppi. Betee era, in quel momento, il doppio di se
stessa.
«Papà, ti prego. Lasciami spiegare» implorò, con
un filo di voce. «Non è come ci hanno sempre insegnato».
Dilatò le palpebre e si portò le mani davanti alla
bocca, mentre l’agente Samay estraeva piano la pistola: era proprio come suo
padre le aveva raccontato sulla rupe scoscesa!
Presa dal panico si voltò e incominciò a correre nella
direzione da cui era arrivata.
«Disperdetevi, tutti quanti!» proruppe tonante la
voce di Samay. «È un doppio».
Premette il grilletto e Betee precipitò al suolo,
morta sul colpo.
SAMAY
Si ritrovò in un sentiero di montagna, circondato
da una fitta vegetazione.
«Betee!» chiamò, a gran voce. «Betee!»
Percorse lo stretto sentiero con la pistola carica
in una mano, pronunciando di quando in quando il nome di sua figlia, finché non
riconobbe il luogo. A quel punto comprese il significato delle parole dei due
Aadamee.
«Oh no…» mormorò, in un soffio.
Si mise a correre finché non raggiunse la rupe
scoscesa. Nonostante l’impellenza e l’enormità di quello che stava per
accadere, non riuscì a evitare di fissare il sole che tramontava in lontananza,
mentre si nascondeva tra le nuvole e le montagne. Il cielo stava assumendo una
tetra colorazione rossastra.
Indugiò troppo a lungo; poi diede le spalle a quel
panorama e imboccò il sentiero dall’altro lato, con l’intenzione di scendere a
valle. Solo quando udì qualcuno sparare nella sua direzione senza colpirlo
riconobbe l’enormità dell’errore che aveva compiuto. Era privo dell’attrezzatura
notturna, per cui sparò qualche colpo alla cieca in direzione del suo
inseguitore e prese a correre.
Ma era troppo tardi. Sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco. Conosceva il modo in cui
l’altro avrebbe colpito. Saltò per evitare il colpo che avrebbe potuto
raggiungerlo di lì a poco, ma fu colpito in pieno al polpaccio sinistro. Con un
urlo cadde a terra, rotolando di qualche metro. Perse la presa della pistola.
L’uomo che aveva sparato gli fu subito sopra. Gli
iniettò del veleno immobilizzante e gli tirò su la testa per i capelli.
«Sì, sei proprio chi stavo cercando».
Il panico parve impossessarsi di Samay. «Perché…
vuoi uccidermi?»
«Dovresti saperlo meglio di me».
Samay ricordava con chiarezza quel dialogo, eppure
qualcosa gli impediva di cambiarlo, modificarlo. Teoria del caos, rifletté.
Anche un piccolo cambiamento…
L’altro assunse un’espressione di derisione,
quando si presentò: «Io sono l’agente Samay ka Majaak»
Il signor
Aadamee ha denunciato il mio doppio solo per arrivare a questo?, si
domandò Samay, disperato. «Devi ascoltarmi» disse. «Niente è come ti è stato
insegnato fino a oggi».
«Io mi sono presentato» disse l’altro, ignorandolo.
«Vorresti dirmi il tuo nome?»
«Lasciami spiegare». Strinse i denti. «Ascoltami».
L’altro gli puntò la pistola sulla fronte. «Ti ho
fatto una domanda».
Samay chiuse gli occhi per qualche istante. «Davvero
vuoi sapere il mio nome?» Deglutì. «Aadamee…»
L’agente Samay ka Majaak premette il grilletto,
sistemò la propria pistola e pulì via la polvere dalla divisa.
«Idiota» disse. Si allontanò dal corpo del proprio
doppio. C’era un luogo, poco più avanti, che aveva visto di sfuggita mentre era
occupato con l’inseguimento. Regalava davvero un bel panorama. Ci avrebbe
portato sua figlia lassù, avrebbe dovuto dirlo all’ispettore capo. Avrebbe
chiesto il fine settimana libero per portare sua figlia su quella rupe
scoscesa. Le sarebbe piaciuto, lo sapeva. Era proprio un bel posto.
V
«Aadamee?»
«Cosa c’è, Aadamee?»
«Ho fatto qualche ricerca. Samay ka Majaak. Un
nome insolito, non è vero?»
«Parecchio».
«È hindi. Significa scherzo del tempo».
Il vecchio si grattò la nuca priva di capelli. «È davvero
di cattivo gusto».
Il giovane annuì, ma sorrise. «Chissà che scopo ha
tutto questo all’interno del grande meccanismo».
«Lo scopriremo, Aadamee. Siamo qui per questo».
«O
forse lo abbiamo già scoperto». Il giovane osservò il cielo fuori dalla
finestra. «Dipende dall’angolazione da cui osservi».
Pietro dell'Oglio
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