Mi liscio i
pantaloni, mi siedo sulla sabbia. Bevo un sorso d’acqua dalla borraccia. È quasi
bollente. Il sole picchia sulla pelle e sento la mia schiena bruciare.
«Non ci hai
mai pensato?» dico. «A quanto siamo soli, intendo. Non io e te come noi, ma io e te come singoli, così come
tutti gli altri. È difficile da spiegare a parole».
Chiudo gli
occhi, inspiro l’aria di mare che una calda brezza sta accompagnando fino a me.
«Fino a che
punto una persona può contare per un’altra?» continuo, riaprendo gli occhi. «Quanto
grande può essere il sentimento che le lega? Noi cerchiamo l’amicizia e
cerchiamo l’amore. E li troviamo quasi sempre, in ogni caso; ma fino a che
punto l’amicizia e l’amore sono forti tra
le persone? Sì, lo so. In alcuni casi sembra che io voglia solo lamentarmi, ma
non è così. Non mi guardare così, ti prego».
Per un attimo
il sole smette di bruciarmi la schiena; si tratta di una nuvola solitaria che
cattura momentaneamente la mia attenzione, distogliendomi da quel che sto
dicendo. Rispunta il sole e io continuo a parlare: «Supponi che una persona A
voglia particolarmente bene a un’altra persona B. A e B non possono fare a meno
l’una dell’altra, sono felici e vivono la loro vita insieme. Sono amici o
amanti, non fa alcuna differenza. Immagina, però, che a un certo punto A muoia.
Non è importante perché è una condizione immodificabile: ognuno di noi morirà.
A è morta e B è molto triste per questo; ma ci sarà un momento della sua vita
in cui andrà avanti. Tutto va avanti. Io e te non siamo niente. Siamo come il
mare, guardalo. Tira fuori un po’ d’acqua dal mare e questa verrà subito sostituita.
Siamo come la polvere. Puoi soffiarla via da una superficie, ma questo non
cambia niente. Ce ne sarà sempre dell’altra a riempire quel vuoto.
«Perché noi
siamo completi, amica mia. E ci tengo a precisare ancora che siamo completi non
in quanto noi nel senso stretto del
termine, ma in quanto io e in quanto te e in quanto tutti. Io sono completo, tu
sei completa, tutti sono completi in se stessi. Abbiamo bisogno degli altri per
continuare a vivere in modo tale da non sentire ciò che è uno stato di fatto:
la solitudine».
Smetto di
parlare perché un tremito ha spezzato per un attimo la linearità quasi musicale
delle mie parole. Tu non mi dici niente, forse mi guardi. Non so perché ho
chiuso gli occhi. Quanto vorrei che piovesse, così la pioggia potrebbe
nascondere qualcosa che non voglio mostrarti.
«Immagina
qualcuno che si sente incompleto. Immagina come possa soffrire. Esistono
persone che davvero non riescono a rimanere da sole. Hanno paura di essere
abbandonate da un momento all’altro. Ebbene, per loro la vita è un inferno,
perché a un certo punto A muore e B si ritroverà a dover cercare C, che a un
certo punto andrà via anche lui. Chi si sente incompleto non soffre per la
mancanza di qualcuno, ma per l’assenza in quanto stato d’essere».
Te ne sarai
accorta dalle mie parole interrotte di quando in quando dai singhiozzi. Non lo
posso più nascondere, anche se chiudo gli occhi. Non potrei nasconderlo neanche
se piovesse. Invece il sole continua a picchiare sulla mia schiena. Ti sto
parlando e mentre parlo ho il viso rivolto verso il mare, anche se non ho il
coraggio di osservare quell’immensa distesa azzurra.
Ho gli
occhi chiusi perché non riesco a guardare il cimitero in cui sei sepolta.
Amavamo il
mare, ma soprattutto ci piaceva quella canoa che abbiamo comprato l’anno
scorso. L’abbiamo chiamata le grand
ensamble. Su di essa, al largo, nella cornice di una sera illuminata da una
luna calante e decine di migliaia di stelle ci siamo baciati. Le grand ensamble non ci ha mai tradito
e quando tu sei caduta e non sei più risalita in superficie, io non mi sono
tuffato a cercarti.
A volte mi
chiedo perché tu non sia risalita. L’acqua era piatta, il cielo sereno. Io ti
stavo aspettando.
«Non hai
mai pensato a quanto siamo soli» concludo, aprendo gli occhi. «Perché non lo
sei mai stata».
Tu eri, ora
non sei più. Non è cambiato niente. Forse mi sto contraddicendo.
Continui a
non parlarmi.
Pietro dell'Oglio
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