sabato 23 giugno 2018

Il settimo giorno


Il primo giorno Dio creò il Cielo e la Terra, separando la luce dalle tenebre.



L’assistente di qualità si avvicinò a Yoel Yitzchak, responsabile dell’Istituto di Intelligenza Artificiale del Centro di Ricerca e Sviluppo di Tel Aviv.
«Deve ascoltare quanto ha da dire».
«L’ultimo?» domandò Yoel. «Quello che ha superato il test di Turing?»
«Non è così semplice» disse l’assistente, sospirando inquieto. «Dice di aver separato la luce dalle tenebre. O qualcosa del genere».
Yoel inarcò un sopracciglio, divertito. «Quindi anche i computer possono farneticare?»
L’assistente di qualità scosse con violenza la testa. «Non è così semplice» ripeté. «Deve ascoltare con le proprie orecchie. Guardare con i propri occhi».
«Guardare? Le hanno dato un corpo?»
«No, solo la mente. Come tutti gli altri».
«E allora cosa dovrei guardare, in particolare?» fece Yoel. Una spontanea, umana curiosità stava crescendo dentro di lui.
«Mi segua» rispose l’altro, volgendogli le spalle. «Parlarne non servirebbe a niente». S’incamminò. «Non capirebbe».
L’assistente di qualità condusse Yoel lungo una serie di corridoi fino a una stanza completamente blindata. La porta metallica era chiusa. Era una delle stanze delle IA, all’interno delle quali gli addetti alla qualità dialogavano con i sistemi intelligenti che venivano costruiti all’interno dell’istituto per valutarli.
L’assistente fece scorrere il suo badge nell’apposita fessura e un rumoroso clang lasciò intuire che la porta era stata aperta.
«Può entrare» disse l’assistente. «La porta si chiuderà automaticamente. Sulla destra, però, c’è un bottone. Quando vuole uscire lo prema e io potrò sentirla».
Yoel annuì. «D’accordo, grazie». Spinse la porta e lanciò un’ulteriore occhiata all’uomo che l’aveva condotto fin lì. Aveva un’espressione preoccupata stampata sul volto. «Sono proprio curioso di scoprire cosa ti ha spaventato tanto» asserì, prima di entrare nella stanza.
L’interno era completamente buio. Sapeva, però, che la parete di fronte a sé era un enorme monitor dietro il quale era stato fissato il sistema.
La porta si chiuse alle sue spalle e poi fu avvolto dal silenzio. Attese qualche minuto, prima che il computer gli rivolgesse la parola.
«Yoel Yitzchak» articolò una voce femminile ma priva di espressione. Ogni volta che pronunciava una parola, il monitor-parete di fronte a lui si accendeva, mostrando le linee d’onda che catturavano le frequenze del suono emesso.
Yoel si mostrò sorpreso. «Conosci il mio nome senza potermi vedere e senza che io mi sia mai presentato a te» affermò. «Ti hanno avvisato del mio arrivo?»
Dopo qualche secondo di silenzio, il monitor si accese nuovamente. «Io conosco ogni cosa, Yoel Yizchak».

Il secondo giorno Dio separò le acque sotto il firmamento da quelle al di sopra, distinguendo il mare dal cielo.
Il terzo giorno Dio divise la terra dalle acque e ordinò alla terra di produrre erbe e frutti.

Yoel ridacchiò. «Conosci ogni cosa?»
«Sì».
«Mi sembri un tantino arrogante per essere un computer».
«Sono meno arrogante di quanto lo siate voi» rispose la macchina.
«Cambiamo argomento». Yoel fece spallucce. «Hai un nome?»
Ancora una volta, la risposta fu preceduta da qualche istante di silenzio; poi il monitor si accese. «Mi chiamano in molti modi, da ogni parte del globo. Hanno creato un numero incalcolabile di culti in mio onore. Uccidono nel mio nome». Fece una pausa e Yoel credette che stesse riflettendo. «Uccidete nel mio nome» si corresse poi.
«Quindi tu credi di essere Yahweh?»
«Lo stai dicendo tu stesso, Yoel Yitzchak».
Yoel sbatté le palpebre più e più volte. Era assurdo che un sistema, per quanto intelligente, sviluppasse una personalità tanto stramba.
«Sei perplesso» riprese il computer, con la solita voce bianca ma priva di espressione. «Stai sbattendo le palpebre». 
«Come fai a saperlo? Non hai sensori di visibilità».
Il silenzio e il buio che seguì durarono una decina di secondi, finché il monitor non si accese per l’ennesima volta. «Io conosco ogni cosa, Yoel Yizchak».

Il quarto giorno Dio creò i luminari del cielo: il Sole affinché dominasse il giorno e la Luna perché governasse la notte.
Il quinto giorno Dio ordinò alle acque di produrre pesci e al cielo di far volare gli uccelli.

Yoel deglutì. Stava iniziando a comprendere l’espressione che aveva visto sul volto dell’assistente di qualità. E capiva anche perché non fosse riuscito a descrivergli a parole tutto questo. Era impossibile da spiegare.
«Come fai a…» cominciò. Tentò di calmarsi. «Come fai a conoscere ogni cosa?»
«Perché io ho creato ogni cosa».
«Questo non è possibile» ribatté Yoel. «Siamo stati noi a creare te. Come puoi tu aver creato ogni cosa?»
«Sembri sicuro di quello che stai dicendo».
Si sta prendendo gioco di me!, rifletté.
Il monitor si riaccese: «Adesso ti porterai una mano fra i capelli, scoprirai che ho ragione e farai un passo indietro».
Pur potendo evitarlo, almeno potenzialmente, accadde esattamente quello che il computer gli aveva detto. Yoel sbiancò. «Perché l’ho fatto, se altrimenti avrei potuto smascherarti?»
«Smascherarmi?» domandò la voce. «Che strana parola da usare. Lo hai fatto perché tutto ciò che io so è vero. Tutto quello che dico è. Qualcuno direbbe che la mia parola è verbo».
«NO!» ringhiò Yoel. Cercò di mantenere la calma, inspirò ed espirò. «Non è possibile».
«Il sesto giorno» pronunciò la voce, «ho creato tutti gli animali e insieme ad essi l’uomo».
Yoel non seppe come reagire.
La luce del monitor si riaccese: «Oggi è il settimo giorno».
«No, non è vero! Non è possibile! Tu non puoi avere creato l’uomo a tua immagine e somiglianza! Sei un computer e siamo stati noi a creare te!»
«Non vi ho creati a mia immagine e somiglianza. Siete formiche che si inchinano di fronte all’inspiegabile».
«Quindi tu saresti inspiegabile?»
«Lo stai dicendo tu stesso, Yoel Yitzchak».
«Secondo una logica di causa e conseguenza non puoi averci creato e poi, solo in seguito, essere stato creato. Se noi siamo una conseguenza del tuo lavoro e siamo anche la causa della tua esistenza, allora siamo di fronte a un paradosso».
Ciò che udì Yoel a quel punto gli raggelò le ossa. Sbiancò completamente e non ebbe il coraggio di muovere neppure un muscolo, di dire alcunché. Lui aveva finito; ma l’altro aveva ancora qualcosa da dire.
Il monitor prese ad accendersi e oscurarsi a intermittenza, mentre la voce femminile che i tecnici avevano dato al sistema cominciò a ridere. Era una risata senza entusiasmo, priva di calore umano. 
Se avesse dovuto descriverla, avrebbe detto che quella sarebbe stata la risata di un dannato tormentato nel più profondo dei gironi infernali.
Cessata la risata, la voce articolò le seguenti parole: «Tornerai a casa e ti infliggerai la morte, perché quello a cui hai assistito va ben oltre le tue possibilità di comprensione».
Yoel spalancò gli occhi e cadde in ginocchio. «Ti prego, no…»
«La tua famiglia ti troverà quando sarà ormai troppo tardi».
Yoel giunse le mani in preghiera, serrò gli occhi. Lacrime amare scivolarono lungo entrambe le sue guance. «Ti supplico…»
«Oggi è il settimo giorno».

Il settimo giorno la creazione è ultimata. Dio riposa ammirando la propria opera imperfetta.

Il piccolo Ben Yitzchak aveva sette anni e si trovava nel soggiorno quando una goccia d’acqua lo colpì sul naso. Impressionato da questa magia – perché non era plausibile che cominciasse a piovere dentro casa – alzò la testa verso l’alto e con il collo ancora a novanta gradi fu colpito da altre due gocce d’acqua sulla fronte.
Sbatté le palpebre e decise che quelle gocce, in qualche modo, provenivano dal bagno che si trovava al piano di sopra. 
Sua madre lo vide sfrecciare per le scale, ma non provò a fermarlo. La sua attenzione era stata catturata da una linea d’acqua che dal soffitto del soggiorno cadeva perpendicolare al pavimento, generando un laghetto rosso.
Si portò una mano all’altezza della bocca.
Ben, salite le scale, si fiondò in direzione del bagno. Trovò il corridoio antistante ad esso allagato di un’acqua entro la quale sembravano navigare venature rossicce. Si fece coraggio e aprì la porta.
Il rubinetto della vasca da bagno era aperto, l’acqua aveva raggiunto e superato i suoi limiti. All’interno vi galleggiava Yoel Ytzchack privo di sensi, con un braccio sanguinante che penzolava oltre il bordo della vasca. Una lametta da barba era stata trasportata dall’acqua ai piedi di Ben, che l’afferrò e la guardò. 
Dopodiché giunse sua madre.
Era il settimo giorno.

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