mercoledì 10 aprile 2019

Il fiume delle anime incastrate


Era una donna di media statura. Indossava due orecchini che cadevano in una lunga catenina d’oro fin sotto le spalle e terminavano in due sfere rosse. Tintinnarono sul quel corpo magro mentre il silenzio della notte era interrotto dal rumore dei suoi passi. Si arrestò a metà del ponte Solferino, come se si fosse ricordata qualcosa di molto importante. Osservò la superficie scura del fiume in direzione delle montagne. Chiuse gli occhi e respirò l’aria fetida che proveniva da sotto.
Un uomo sulla cinquantina, in completo elegante e con una tracolla su una spalla, stava passando di lì proprio in quel momento. Vide la donna e una strana sensazione lo costrinse ad affrettare il passo. Non sapeva bene perché, ma temeva che si girasse e gli rivolgesse la parola.
«Non essere sconsiderato» disse la donna, senza voltarsi.
Un’auto sfrecciò a tutta velocità e l’uomo la osservò correre, augurandosi che non si schiantasse contro niente e nessuno; quindi attraversò la strada e si avvicinò alla donna.
«Non volevo offenderla, signora» disse. «Ho solo paura».
«Non sei l’unico. Sono in molti a temere. Sono in molti a vivere male per questo».
L’uomo ridacchiò nervoso. «Mi piace il modo in cui vivo, il lavoro che faccio».
«Non c’è alcun dubbio a riguardo». La donna finalmente si volse a guardarlo. Occhi rossi dalle iridi sottilissime luccicavano nella notte densa. Un tanfo di putrefazione aleggiò su entrambe le figure per qualche istante; poi la donna sorrise in un gesto rassicurante. «Quel che dirò non è dubitare ciò che hai vissuto».
«E che cos’è, allora?»
«Tua moglie? L’ami?»
L’uomo sbatté le palpebre più e più volte. «Non è questo dubitare?»
La donna fece cenno di no con la testa, e i lunghi orecchini ondeggiarono e tintinnarono emettendo scintille. «Domando risposte, non dubito di te».
«Sì» disse l’uomo in un sospiro. «L’amo, ma l’ho amata di più tanti anni fa».
«Il fuoco si estingue, se prima o dopo poco importa». Volse la testa ancora una volta in direzione del fiume e scrutò a fondo le sue acque.
L’uomo, invece, riprese a fissare la strada da cui era venuto, sconsolato. «L’amo ancora, nonostante tutto. Sono forse uno stolto?»
«Sì».
Dall’altro lato del ponte vide l’immagine di se stesso, poco prima di aver attraversato la strada per raggiungere la donna dagli occhi rosso fuoco. Mentre lo stava facendo, una macchina era sfrecciata a una velocità sostenuta e lo aveva investito in pieno. Era risuonato un crack distorto dal rombo del motore che non aveva accennato a spegnersi. La macchina aveva proseguito la sua corsa senza rallentare.
La donna non cambiò direzione dello sguardo «Hai accettato la tua sorte?»
«Forse».
«Conosci il mio nome?»
«Morte, sei la mia Morte».
«La Morte non è Speranza. La morte non dubita».
L’uomo sospirò. «Sono stato investito da quell’auto mentre attraversavo la strada. Proprio qui, sul ponte Solferino. Sotto il cielo di Pisa, pochi metri sopra l’Arno».
«L’Arno» gli fece eco la donna. «È un fiume di anime incastrate». E aggiunse: «Come la tua».
L’uomo le si rivolse sperando in un nuovo incrocio di sguardi. «La mia anima è incastrata?»
Ancora un tanfo di putrefazione aleggiò intorno a loro. Questa volta assunse la forma di braccia tentacolari che avvolsero l’uomo con delicatezza.
«L’anima non è nient’altro che te stesso» seguitò la donna. «Io sono qualcosa che ne è al di fuori. Siete creature molto strane. Tra di voi dite di essere egoisti, malvagi, con un cuore di pietra. Non sai quante anime come te sono incastrate nel fiume».
L’uomo provò invano a fare resistenza, ma le braccia tentacolari – umide, dense e puzzolenti – non allentarono la presa. «Ti prego, dammi un’altra possibilità» piagnucolò. «Solo un’altra».
Lei si avvicinò e gli accarezzò una guancia. «Non ti è concessa» disse, e il suo tono parve rompersi dal dispiacere. L’uomo fu trascinato sotto la superficie delle acque dell’Arno, in quel fiume delle anime incastrate, e fu incastrato lui stesso per l’eternità. È una pena che s’è scelto, ragionò la donna, e il suo unico peccato è stato quello di amare incondizionatamente, e a senso unico, la sua donna. È incastrato dalla consapevolezza che anche sua moglie è morta in quella notte scura. Lui in solitudine, investito da un’auto. Lei insieme all’amante che s’era portata in macchina, ubriaca, in un incidente d’auto, dopo aver privato il marito della vita. I tre s’erano incastrati, e da quel momento e per l’eternità avrebbero vissuto la morte nelle acque del fiume senza mai poter risalire in superficie, perennemente privati del fiato. L’istinto avrebbe voluto portarli verso l’alto, in cerca d’ossigeno, e la donna dagli occhi rossi e i lunghi orecchini a catenella non glielo avrebbe mai permesso. Perché s’erano incastrati vicendevolmente. Lei e il suo amante, figure spregevoli, erano state punite per la loro cattiveria dettata dall’amore; lui, invece, uomo buono, onesto, sempre gentile, era stato punito ingiustamente perché anche se era a conoscenza di essere incastrato con la moglie, vi era rimasto con consapevolezza. Contro ogni logica, fuori da ogni dubbio, con una forza tale da far vacillare la vita e la morte sin dalle loro fondamenta, amava quella donna spregevole che era stata sua moglie. L’amava senza nessuna condizione e l’avrebbe amata per tutta l’eternità, lì, nel fiume delle anime incastrate, incastrato insieme lei.

PIETRO DELL'OGLIO

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