Era una donna di media statura. Indossava due orecchini che cadevano in una lunga catenina d’oro fin sotto le spalle e terminavano in due sfere rosse. Tintinnarono sul quel corpo magro mentre il silenzio della notte era interrotto dal rumore dei suoi passi. Si arrestò a metà del ponte Solferino, come se si fosse ricordata qualcosa di molto importante. Osservò la superficie scura del fiume in direzione delle montagne. Chiuse gli occhi e respirò l’aria fetida che proveniva da sotto.
Un
uomo sulla cinquantina, in completo elegante e con una tracolla su una
spalla, stava passando di lì proprio in quel momento. Vide la donna e
una strana sensazione lo costrinse ad affrettare il passo. Non sapeva
bene perché, ma temeva che si girasse e gli rivolgesse la parola.
«Non
essere sconsiderato» disse la donna, senza voltarsi.
Un’auto
sfrecciò a tutta velocità e l’uomo la osservò correre,
augurandosi che non si schiantasse contro niente e nessuno; quindi
attraversò la strada e si avvicinò alla donna.
«Non
volevo offenderla, signora» disse. «Ho solo paura».
«Non
sei l’unico. Sono in molti a temere. Sono in molti a vivere male
per questo».
L’uomo
ridacchiò nervoso. «Mi piace il modo in cui vivo, il lavoro che
faccio».
«Non
c’è alcun dubbio a riguardo». La donna finalmente si volse a
guardarlo. Occhi rossi dalle iridi sottilissime luccicavano nella
notte densa. Un tanfo di putrefazione aleggiò su entrambe le figure
per qualche istante; poi la donna sorrise in un gesto rassicurante.
«Quel che dirò
non è dubitare ciò che hai vissuto».
«E
che cos’è, allora?»
«Tua
moglie? L’ami?»
L’uomo
sbatté le palpebre più e più volte. «Non è questo dubitare?»
La
donna fece cenno di no con la testa, e i lunghi orecchini
ondeggiarono e tintinnarono emettendo scintille. «Domando risposte,
non dubito di te».
«Sì»
disse l’uomo in un sospiro. «L’amo, ma l’ho amata di più
tanti anni fa».
«Il
fuoco si estingue, se prima o dopo poco importa». Volse la testa
ancora una volta in direzione del fiume e scrutò a fondo le sue
acque.
L’uomo,
invece, riprese a fissare la strada da cui era venuto, sconsolato.
«L’amo ancora, nonostante tutto. Sono forse uno stolto?»
«Sì».
Dall’altro
lato del ponte vide
l’immagine di se stesso, poco prima di
aver attraversato
la strada per raggiungere la donna dagli occhi rosso fuoco. Mentre lo
stava
facendo,
una macchina era
sfrecciata
a una velocità sostenuta e lo aveva
investito
in pieno. Era
risuonato
un crack
distorto dal rombo del motore che non aveva
accennato
a spegnersi. La macchina aveva
proseguito
la sua corsa senza rallentare.
La
donna non cambiò direzione dello
sguardo
«Hai accettato la tua sorte?»
«Forse».
«Conosci
il mio nome?»
«Morte,
sei la mia Morte».
«La
Morte non è Speranza. La morte non dubita».
L’uomo
sospirò. «Sono stato investito da quell’auto mentre attraversavo
la strada. Proprio qui, sul ponte Solferino. Sotto il cielo di Pisa,
pochi metri sopra l’Arno».
«L’Arno»
gli fece eco la donna. «È un fiume di anime incastrate». E
aggiunse: «Come la tua».
L’uomo
le si rivolse sperando in un nuovo incrocio di sguardi. «La mia
anima è incastrata?»
Ancora
un tanfo di putrefazione aleggiò intorno a loro. Questa volta
assunse la forma di braccia tentacolari che avvolsero l’uomo con
delicatezza.
«L’anima
non è nient’altro che te stesso» seguitò la donna. «Io sono
qualcosa che ne è al di fuori. Siete creature molto strane. Tra di
voi dite di essere egoisti, malvagi, con
un cuore di pietra.
Non sai quante anime come te sono incastrate nel
fiume».
L’uomo
provò invano a fare resistenza, ma le braccia tentacolari – umide,
dense e puzzolenti – non allentarono la presa. «Ti prego, dammi
un’altra possibilità» piagnucolò. «Solo un’altra».
Lei
si avvicinò e gli accarezzò una guancia. «Non ti è concessa»
disse, e il suo tono parve rompersi dal dispiacere. L’uomo fu
trascinato sotto la superficie delle acque dell’Arno, in quel fiume
delle anime incastrate, e fu incastrato lui stesso per l’eternità.
È una pena che s’è scelto, ragionò la donna, e il suo unico
peccato è stato quello di amare incondizionatamente, e a senso
unico, la sua donna. È incastrato dalla consapevolezza che anche sua moglie è morta in quella notte scura. Lui
in solitudine, investito da un’auto. Lei insieme all’amante che
s’era portata in macchina, ubriaca, in un incidente d’auto, dopo
aver privato il marito della vita. I tre s’erano incastrati, e
da quel momento e per l’eternità avrebbero vissuto la morte nelle
acque del fiume senza mai poter risalire in superficie, perennemente
privati
del
fiato. L’istinto
avrebbe voluto portarli verso l’alto, in cerca d’ossigeno, e la
donna dagli occhi rossi e i lunghi orecchini a catenella non glielo
avrebbe mai
permesso.
Perché
s’erano incastrati vicendevolmente. Lei e il suo amante, figure
spregevoli, erano state punite per la loro cattiveria dettata
dall’amore; lui, invece, uomo buono, onesto, sempre gentile, era stato
punito ingiustamente perché anche se era a conoscenza di essere
incastrato con la moglie, vi era rimasto con consapevolezza. Contro
ogni logica, fuori da ogni dubbio, con una forza tale da far
vacillare la vita e la morte sin
dalle
loro fondamenta, amava quella donna spregevole che era stata sua
moglie. L’amava senza nessuna condizione e l’avrebbe amata per
tutta l’eternità, lì, nel fiume delle anime incastrate,
incastrato insieme lei.
PIETRO DELL'OGLIO