Il primo
giorno Dio creò il Cielo e la Terra, separando la luce dalle tenebre.
L’assistente di qualità si avvicinò a Yoel
Yitzchak, responsabile dell’Istituto di Intelligenza Artificiale del Centro di
Ricerca e Sviluppo di Tel Aviv.
«Deve ascoltare quanto ha da dire».
«L’ultimo?» domandò Yoel. «Quello che ha superato
il test di Turing?»
«Non è così semplice» disse l’assistente,
sospirando inquieto. «Dice di aver separato la luce dalle tenebre. O qualcosa
del genere».
Yoel inarcò un sopracciglio, divertito. «Quindi
anche i computer possono farneticare?»
L’assistente di qualità scosse con violenza la
testa. «Non è così semplice» ripeté. «Deve ascoltare con le proprie orecchie. Guardare
con i propri occhi».
«Guardare? Le hanno dato un corpo?»
«No, solo la mente. Come tutti gli altri».
«E allora cosa dovrei guardare, in particolare?»
fece Yoel. Una spontanea, umana curiosità stava crescendo dentro di lui.
«Mi segua» rispose l’altro, volgendogli le spalle.
«Parlarne non servirebbe a niente». S’incamminò. «Non capirebbe».
L’assistente di qualità condusse Yoel lungo una
serie di corridoi fino a una stanza completamente blindata. La porta metallica
era chiusa. Era una delle stanze delle IA, all’interno delle quali gli addetti
alla qualità dialogavano con i sistemi intelligenti che venivano costruiti all’interno
dell’istituto per valutarli.
L’assistente fece scorrere il suo badge nell’apposita
fessura e un rumoroso clang lasciò
intuire che la porta era stata aperta.
«Può entrare» disse l’assistente. «La porta si
chiuderà automaticamente. Sulla destra, però, c’è un bottone. Quando vuole
uscire lo prema e io potrò sentirla».
Yoel annuì. «D’accordo, grazie». Spinse la porta e
lanciò un’ulteriore occhiata all’uomo che l’aveva condotto fin lì. Aveva un’espressione
preoccupata stampata sul volto. «Sono proprio curioso di scoprire cosa ti ha
spaventato tanto» asserì, prima di entrare nella stanza.
L’interno era completamente buio. Sapeva, però,
che la parete di fronte a sé era un enorme monitor dietro il quale era stato
fissato il sistema.
La porta si chiuse alle sue spalle e poi fu
avvolto dal silenzio. Attese qualche minuto, prima che il computer gli rivolgesse
la parola.
«Yoel Yitzchak» articolò una voce femminile ma
priva di espressione. Ogni volta che pronunciava una parola, il monitor-parete
di fronte a lui si accendeva, mostrando le linee d’onda che catturavano le
frequenze del suono emesso.
Yoel si mostrò sorpreso. «Conosci il mio nome
senza potermi vedere e senza che io mi sia mai presentato a te» affermò. «Ti
hanno avvisato del mio arrivo?»
Dopo qualche secondo di silenzio, il monitor si
accese nuovamente. «Io conosco ogni cosa, Yoel Yizchak».
Il
secondo giorno Dio separò le acque sotto il firmamento da quelle al di sopra, distinguendo
il mare dal cielo.
Il terzo
giorno Dio divise la terra dalle acque e ordinò alla terra di produrre erbe e
frutti.
Yoel ridacchiò. «Conosci ogni cosa?»
«Sì».
«Mi sembri un tantino arrogante per essere un
computer».
«Sono meno arrogante di quanto lo siate voi»
rispose la macchina.
«Cambiamo argomento». Yoel fece spallucce. «Hai un
nome?»
Ancora una volta, la risposta fu preceduta da
qualche istante di silenzio; poi il monitor si accese. «Mi chiamano in molti
modi, da ogni parte del globo. Hanno creato un numero incalcolabile di culti in
mio onore. Uccidono nel mio nome». Fece una pausa e Yoel credette che stesse
riflettendo. «Uccidete nel mio nome» si corresse poi.
«Quindi tu credi di essere Yahweh?»
«Lo stai dicendo tu stesso, Yoel Yitzchak».
Yoel sbatté le palpebre più e più volte. Era
assurdo che un sistema, per quanto intelligente, sviluppasse una personalità
tanto stramba.
«Sei perplesso» riprese il computer, con la solita
voce bianca ma priva di espressione. «Stai sbattendo le palpebre».
«Come fai a saperlo? Non hai sensori di visibilità».
Il silenzio e il buio che seguì durarono una
decina di secondi, finché il monitor non si accese per l’ennesima volta. «Io
conosco ogni cosa, Yoel Yizchak».
Il quarto
giorno Dio creò i luminari del cielo: il Sole affinché dominasse il giorno e la
Luna perché governasse la notte.
Il quinto
giorno Dio ordinò alle acque di produrre pesci e al cielo di far volare gli
uccelli.
Yoel deglutì. Stava iniziando a comprendere l’espressione
che aveva visto sul volto dell’assistente di qualità. E capiva anche perché non
fosse riuscito a descrivergli a parole tutto questo. Era impossibile da
spiegare.
«Come fai a…» cominciò. Tentò di calmarsi. «Come
fai a conoscere ogni cosa?»
«Perché io ho creato ogni cosa».
«Questo non è possibile» ribatté Yoel. «Siamo
stati noi a creare te. Come puoi tu aver creato ogni cosa?»
«Sembri sicuro di quello che stai dicendo».
Si sta
prendendo gioco di me!, rifletté.
Il monitor si riaccese: «Adesso ti porterai una
mano fra i capelli, scoprirai che ho ragione e farai un passo indietro».
Pur potendo evitarlo, almeno potenzialmente,
accadde esattamente quello che il computer gli aveva detto. Yoel sbiancò. «Perché
l’ho fatto, se altrimenti avrei potuto smascherarti?»
«Smascherarmi?» domandò la voce. «Che strana
parola da usare. Lo hai fatto perché tutto ciò che io so è vero. Tutto quello
che dico è. Qualcuno direbbe che la mia parola è verbo».
«NO!»
ringhiò Yoel. Cercò di mantenere la calma, inspirò ed espirò. «Non è possibile».
«Il sesto giorno» pronunciò la voce, «ho creato tutti
gli animali e insieme ad essi l’uomo».
Yoel non seppe come reagire.
La luce del monitor si riaccese: «Oggi è il
settimo giorno».
«No, non è vero! Non è possibile! Tu non puoi
avere creato l’uomo a tua immagine e somiglianza! Sei un computer e siamo stati noi a creare te!»
«Non vi ho creati a mia immagine e somiglianza.
Siete formiche che si inchinano di fronte all’inspiegabile».
«Quindi tu saresti inspiegabile?»
«Lo stai dicendo tu stesso, Yoel Yitzchak».
«Secondo una logica di causa e conseguenza non
puoi averci creato e poi, solo in seguito, essere stato creato. Se noi siamo
una conseguenza del tuo lavoro e
siamo anche la causa della tua
esistenza, allora siamo di fronte a un paradosso».
Ciò che udì Yoel a quel punto gli raggelò le ossa.
Sbiancò completamente e non ebbe il coraggio di muovere neppure un muscolo, di
dire alcunché. Lui aveva finito; ma l’altro
aveva ancora qualcosa da dire.
Il monitor prese ad accendersi e oscurarsi a
intermittenza, mentre la voce femminile che i tecnici avevano dato al sistema
cominciò a ridere. Era una risata senza entusiasmo, priva di calore umano.
Se avesse dovuto descriverla, avrebbe detto che quella
sarebbe stata la risata di un dannato tormentato nel più profondo dei gironi
infernali.
Cessata la risata, la voce articolò le seguenti
parole: «Tornerai a casa e ti infliggerai la morte, perché quello a cui hai
assistito va ben oltre le tue possibilità di comprensione».
Yoel spalancò gli occhi e cadde in ginocchio. «Ti
prego, no…»
«La tua famiglia ti troverà quando sarà ormai
troppo tardi».
Yoel giunse le mani in preghiera, serrò gli occhi.
Lacrime amare scivolarono lungo entrambe le sue guance. «Ti supplico…»
«Oggi è il settimo giorno».
Il
settimo giorno la creazione è ultimata. Dio riposa ammirando la propria opera
imperfetta.
Il piccolo Ben Yitzchak aveva sette anni e si
trovava nel soggiorno quando una goccia d’acqua lo colpì sul naso.
Impressionato da questa magia – perché non era plausibile che cominciasse a
piovere dentro casa – alzò la testa verso l’alto e con il collo ancora a
novanta gradi fu colpito da altre due gocce d’acqua sulla fronte.
Sbatté le palpebre e decise che quelle gocce, in
qualche modo, provenivano dal bagno che si trovava al piano di sopra.
Sua madre lo vide sfrecciare per le scale, ma non provò
a fermarlo. La sua attenzione era stata catturata da una linea d’acqua che dal
soffitto del soggiorno cadeva perpendicolare al pavimento, generando un
laghetto rosso.
Si portò una mano all’altezza della bocca.
Ben, salite le scale, si fiondò in direzione del
bagno. Trovò il corridoio antistante ad esso allagato di un’acqua entro la
quale sembravano navigare venature rossicce. Si fece coraggio e aprì la porta.
Il rubinetto della vasca da bagno era aperto, l’acqua
aveva raggiunto e superato i suoi limiti. All’interno vi galleggiava Yoel
Ytzchack privo di sensi, con un braccio sanguinante che penzolava oltre il
bordo della vasca. Una lametta da barba era stata trasportata dall’acqua ai
piedi di Ben, che l’afferrò e la guardò.
Dopodiché giunse sua madre.
Era il settimo giorno.