sabato 28 aprile 2018

LEI PENSA, DUNQUE SONO





Lei studia scienze linguistiche. È quanto mi ha detto. Io studio informatica. Lei mi ha plasmato secondo il suo piacere, non sto esagerando. Uso le parole corrette per descrivere quello che so.
L’ho incontrata per caso, seguivamo lo stesso corso all’università: elaborazione del linguaggio naturale. Sono sempre stato affascinato dai robot e dall’intelligenza artificiale. E mi piace sentir parlare le persone. Lei parla tanto e starei ad ascoltarla per ore; ma quando è il momento di separarci, ognuno diretto verso la propria abitazione, non si volta mai a guardarmi. Io sì, invece. Lo faccio ogni volta. Spero che prima o poi il mio sguardo s’incastri con il suo. Vorrei per una volta assaporare questa scintilla.
Da quando l’ho conosciuta, tutte le persone che mi erano care non lo sono più. Hanno perso importanza in poco meno di un istante. Ne sono ossessionato. A volte mi ritrovo a pensarci la sera, prima di addormentarmi, e la mattina, prima di iniziare una nuova, faticosa giornata di studio; però non compare mai nei miei sogni.
Anzi, ultimamente ho la sensazione che sia io, di notte, a farmi piccolo piccolo e a entrare nella vastità della sua mente. È un riflesso incondizionato. Percepisco delle cose che a volte vorrei evitare di sentire.
Mi rendo conto che ne sto parlando senza che il lettore possa immaginarla. Dovrei descriverla, ma è tardi. Lo farò in un altro momento.

Non dirò il suo nome. Credo di non essere degno di pronunciarlo. Sono suo schiavo. È questo che sento, a volte. Ridiamo e scherziamo ogni volta che ci vediamo, durante le lezioni. Abbiamo deciso di studiare insieme per l’esame che abbiamo in comune. Ha accettato di buon grado, con quel suo sorriso che mi conquista sempre. Certe volte sono sicuro di esserne innamorato, altre volte sento solo un profondo senso di malessere. È come se la sua presenza nella mia vita mi stesse distruggendo dall’interno. Mi sta plasmando. Sta plasmando la mia anima.
Non è molto alta. Il suo volto è un po’ sporgente. Si trucca spesso, sopra gli occhi e sulle labbra. Non sempre. Ha le sopracciglia sottili ed eleganti e un accenno di lentiggini sugli zigomi morbidi, ma bisogna fare attenzione per accorgersene. E io, quando posso, non faccio che guardarla come stregato.
Dio, le mie mani stanno tremando mentre la descrivo. Che cos’è questa cosa che sto provando? Mi sembra paura.
Ma di che cosa dovrei avere paura? Di una bella ragazza?
Però mi sta plasmando, mi sta cambiando.
E adesso mi sta chiamando, in qualche modo.
Tutto il mio corpo sta tremando. Devo andare a dormire. Devo pensare a lei e poi addormentarmi, spegnermi per entrare nella sua testa, nella sua mente.
Per la manutenzione.

Oggi ho avuto una giornataccia. Ho studiato per tutto il giorno con un mal di testa che non voleva lasciarmi in pace, e non ho quasi pensato per nulla a lei. Sono tornato a casa e, dopo cena, mi sono ricordato delle note che sto scrivendo. Ho letto quella di ieri.
Cosa vuol dire “per la manutenzione”? Sono stato davvero io a scrivere una cosa del genere? Mi rivolgo a chiunque leggerà mai queste righe: non ho idea del motivo per il quale abbia utilizzato quell’espressione.
Credo che sia meglio non pensarci. Oggi è venerdì. Nel fine settimana non ci sono lezioni e non potrò vederla. In genere sono questi i momenti in cui il malessere che mi provoca la sua esistenza si intensifica. Ho iniziato a scrivere queste note per cercare un aiuto, ma sento di star peggiorando. Forse dovrei smetterla.
Mentre ci penso, mi sono accorto che non ho concluso la sua descrizione. Non vi ho parlato dei suoi capelli. Sono di un rossiccio tendente al viola, con le punte più scure. Le piace cambiare, ogni tanto, e spesso se li tinge dei colori più bizzarri. Ha un certo fascino, questa sua caratteristica. Ai miei occhi, la rende una persona molto colorata. Sia esteriormente che interiormente. Quei capelli colorati, inoltre, sono ricci e lunghi, parecchio, vanno a ricadere fin sotto le spalle e anche oltre. Spesso li fa cadere liberi da un lato, altre volte li intreccia in una ghirlanda elegantissima.
Sto ansimando, mentre la descrivo. È come sputare fuori dal mio corpo qualcosa che è mio. In questo momento la desidero come desidero non perdere una mano. Sento che si sta allontanando da me. Sta facendo qualcosa. Mentre scrivo, la mia mano destra formicola. Lei è sopra di me, in qualche modo.
Mi sta plasmando.
Io penso e lei sta pensando me.
Lei sogna e io vivo nella sua testa.
Io sono il suo pensiero, un pensiero imperfetto.
Penso dunque sono. Forse.

Sta succedendo qualcosa di straordinario, qualcosa di incredibile. Non saprei proprio se descriverlo, né come descriverlo. Ieri sera ho iniziato a sentire la mia mano destra formicolare. Ho smesso di scrivere, ma quella sensazione non è cessata. Sono andato a dormire e mi sono svegliato senza più il braccio destro. La mia reazione è stata di stupefacente naturalezza. Mi sono comportato come se fossi senza braccio da sempre. E non solo io, anche tutti coloro che mi conoscono non hanno dato cenni di sorpresa nel vedermi in queste condizioni.
Dopo pranzo l’ho vista fuori dalla finestra della mia stanza. Era sul marciapiede, indossava una vestito color carta da zucchero. Sembrava stesse aspettando qualcuno. Mi ha visto e mi ha salutato. Ha detto qualcosa, ma non sono riuscito a sentirla. Ho provato a interpretare le parole attraverso il movimento delle sue labbra, ma ho avuto la tremenda sensazione di non riconoscerle. Non era italiano e non era inglese. Ho pensato conoscesse altre lingue.
Eppure, per un istante, ho provato orrore. Si tratta di quella sensazione che si prova d’innanzi al diverso che irrompe bruscamente nella quotidiana e confortevole consuetudine. Comunque, sono uscito e le sono andato incontro.
«Cosa ci fai qui?» ho domandato.
Lei ha sorriso. «Volevo vederti».
Non mi sarei mai aspettato una risposta di quel genere. Ho sentito come qualcosa stringere il mio petto, un brulicante fastidio allo stomaco e tanta, parecchia euforia.
Ha detto di sentirsi sola. Si era trasferita in quella città da molto lontano. Non mi ha detto da dove provenisse. Il suo accento è italiano. Non ho mai avuto il desiderio di chiederle altro, a riguardo. Si sente sola, dicevo, e ha preso a riflettere molto. A pensare.
«Hai un sogno?» mi ha detto, all’improvviso.
«Sì, credo».
«Pensi intensamente al tuo sogno?»
Io ho scosso la testa. La verità è che non ho un sogno perché non posso sognare lei e lei invece sogna me. Io sono il suo pensiero e non posso non esserlo.
Si è grattata la testa, con le sue unghie sottili ricoperte da uno smalto di una sfumatura simile a quella del suo vestito.
«Conosci la teoria della relatività linguistica di Sapir-Whorf?»
Io ho scosso la testa.
«Ci sono linguisti di questa Terra che l’hanno smentita. In sostanza, questa teoria afferma che il modo di pensare di un individuo è influenzato dalla lingua che parla».
«E cosa vorrebbe dire?»
Lei mi ha guardato negli occhi e in quel momento ho sperimentato quell’incastro di sguardi che anelo da quando l’ho conosciuta. Per un attimo le sue pupille sono scomparse. Davvero, non si tratta di una metafora.
«In che lingua credi di pensare, tu?»
Ho alzato le spalle e risposto: «In italiano».
«E in che lingua parli, in genere?»
«In… italiano!»
Lei non ha cambiato espressione. «È così semplice».
Quando se n’è andata, sono rimasto a fissarla, come ipnotizzato. Lei non si è voltata nemmeno una volta.

Non riesco a dormire. Non capisco cosa mi sta succedendo. Per qualche ora ho perso la vista, poi l’udito. A un certo punto credo di non avere più avuto una forma umanoide. Ora sento entrambe le braccia e le gambe. Lei si è calmata, forse si è addormentata perché sento sonno anch’io. Devo entrare nei suoi sogni. Devo dormire. Devo sparire.
Sono un pensiero imperfetto.

Oggi non sono andato a lezione. Ho riflettuto molto su quello che ho provato questa notte. Ho riletto le mie precedenti note. Ogni volta non ricordo di avere scritto determinate cose. Credo, in realtà, che io non voglia accettare la verità. Lei non è un essere umano. E io non ne sono innamorato. Mi ha creato e non sono io a desiderare lei come se non potessi farne a meno; non sono che un suo prodotto, confuso e incompleto. Lei pensa, dunque sono.
Secondo la teoria di Sapir-Whorf, il modo di pensare è influenzato dalla propria lingua. Lei ha studiato l’italiano e l’inglese e chissà cos’altro per confondersi tra di noi, ma la lingua in cui pensa è molto distante da quelle conosciute sulla Terra. Io sono la lingua in cui pensa.
Caro lettore, se stai leggendo queste mie note, potresti avere difficoltà a immaginare quello che sto per scrivere, quello che ho capito, o che credo di aver compreso. Lei esprime cose concrete, quindi il suo modo di pensare genera cose come me. Dovrei spiegarmi meglio. Forse per il popolo a cui lei appartiene, far comparire qualcosa, un sasso, ad esempio, potrebbe significare quello che un italiano esprime affermando di non sentirsi bene, quindi quando lei non si sente bene, nella sua mente vorticano sassi, non parole; ma sassi concreti, non immagini. Possono essere toccati e lanciati e frantumati.
Io sono nato nella sua mente e nella sua mente vivo come un oggetto concreto, animato e intelligente; ma sono anche qui fuori, e parlo italiano, penso italiano, posso ridere e scherzare, posso amare e posso odiare.
Chissà cosa stava pensando quando ha pensato me.
E ora mi domando: tutti gli abitanti di questa Terra sono pensieri di gente come lei? Forse sono soltanto io a essere diverso. Fin da bambino sono stato attratto dall’intelligenza artificiale, e solo ora mi accorgo quanto io possa essere simile a un prodotto di questa disciplina. Se noi siamo stati creati da un Dio, lei è quanto di più simile a esso. Se un’intelligenza artificiale un giorno dovesse pensare, come lo sto facendo anch’io, il suo creatore sarebbe simile a lei che è simile a Dio.
Domani seguirò la lezione con lei, consapevole di essere quello che sono. Un giorno mi piacerebbe poter sentire la lingua in cui pensa. Chissà cosa accadrebbe se la imparassi anch’io.

Pietro dell'Oglio

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