Lei studia scienze linguistiche. È quanto mi ha detto. Io studio
informatica. Lei mi ha plasmato secondo il suo piacere, non sto
esagerando. Uso le parole corrette per descrivere quello che so.
L’ho
incontrata per caso, seguivamo lo stesso corso all’università:
elaborazione del linguaggio naturale. Sono sempre stato affascinato
dai robot e dall’intelligenza artificiale. E mi piace sentir
parlare le persone. Lei parla tanto e starei ad ascoltarla per ore;
ma quando è il momento di separarci, ognuno diretto verso la propria
abitazione, non si volta mai a guardarmi. Io sì, invece. Lo faccio
ogni volta. Spero che prima o poi il mio sguardo s’incastri con il
suo. Vorrei per una volta assaporare questa scintilla.
Da
quando l’ho conosciuta, tutte le persone che mi erano care non lo
sono più. Hanno perso importanza in poco meno di un istante. Ne sono
ossessionato. A volte mi ritrovo a pensarci la sera, prima di
addormentarmi, e la mattina, prima di iniziare una nuova, faticosa
giornata di studio; però non compare mai nei miei sogni.
Anzi,
ultimamente ho la sensazione che sia io, di notte, a farmi piccolo
piccolo e a entrare nella vastità della sua mente. È un riflesso
incondizionato. Percepisco delle cose che a volte vorrei evitare di
sentire.
Mi
rendo conto che ne sto parlando senza che il lettore possa
immaginarla. Dovrei descriverla, ma è tardi. Lo farò in un altro
momento.
Non
dirò il suo nome. Credo di non essere degno di pronunciarlo. Sono
suo schiavo. È questo che sento, a volte. Ridiamo e scherziamo ogni
volta che ci vediamo, durante le lezioni. Abbiamo deciso di studiare
insieme per l’esame che abbiamo in comune. Ha accettato di buon
grado, con quel suo sorriso che mi conquista sempre. Certe volte sono
sicuro di esserne innamorato, altre volte sento solo un profondo
senso di malessere. È come se la sua presenza nella mia vita mi
stesse distruggendo dall’interno. Mi sta plasmando. Sta plasmando
la mia anima.
Non
è molto alta. Il suo volto è un po’ sporgente. Si trucca spesso,
sopra gli occhi e sulle labbra. Non sempre. Ha le sopracciglia
sottili ed eleganti e un accenno di lentiggini sugli zigomi morbidi,
ma bisogna fare attenzione per accorgersene. E io, quando posso, non
faccio che guardarla come stregato.
Dio,
le mie mani stanno tremando mentre la descrivo. Che cos’è questa
cosa che sto provando? Mi sembra paura.
Ma
di che cosa dovrei avere paura? Di una bella ragazza?
Però
mi sta plasmando, mi sta cambiando.
E
adesso mi sta chiamando, in qualche modo.
Tutto
il mio corpo sta tremando. Devo andare a dormire. Devo pensare a lei
e poi addormentarmi, spegnermi per entrare nella sua testa, nella sua
mente.
Per
la manutenzione.
Oggi
ho avuto una giornataccia. Ho studiato per tutto il giorno con un mal
di testa che non voleva lasciarmi in pace, e non ho quasi pensato per
nulla a lei. Sono tornato a casa e, dopo cena, mi sono ricordato
delle note che sto scrivendo. Ho letto quella di ieri.
Cosa
vuol dire “per la manutenzione”? Sono stato davvero io a scrivere
una cosa del genere? Mi rivolgo a chiunque leggerà mai queste righe:
non ho idea del motivo per il quale abbia utilizzato
quell’espressione.
Credo
che sia meglio non pensarci. Oggi è venerdì. Nel fine settimana non
ci sono lezioni e non potrò vederla. In genere sono questi i momenti
in cui il malessere che mi provoca la sua esistenza si intensifica.
Ho iniziato a scrivere queste note per cercare un aiuto, ma sento di
star peggiorando. Forse dovrei smetterla.
Mentre
ci penso, mi sono accorto che non ho concluso la sua descrizione. Non
vi ho parlato dei suoi capelli. Sono di un rossiccio tendente al
viola, con le punte più scure. Le piace cambiare, ogni tanto, e
spesso se li tinge dei colori più bizzarri. Ha un certo fascino,
questa sua caratteristica. Ai miei occhi, la rende una persona molto
colorata. Sia esteriormente che interiormente. Quei capelli colorati,
inoltre, sono ricci e lunghi, parecchio, vanno a ricadere fin sotto
le spalle e anche oltre. Spesso li fa cadere liberi da un lato, altre
volte li intreccia in una ghirlanda elegantissima.
Sto
ansimando, mentre la descrivo. È come sputare fuori dal mio corpo
qualcosa che è mio. In questo momento la desidero come desidero non
perdere una mano. Sento che si sta allontanando da me. Sta facendo
qualcosa. Mentre scrivo, la mia mano destra formicola. Lei è sopra
di me, in qualche modo.
Mi
sta plasmando.
Io
penso e lei sta pensando me.
Lei
sogna e io vivo nella sua testa.
Io
sono il suo pensiero, un pensiero imperfetto.
Penso
dunque sono. Forse.
Sta
succedendo qualcosa di straordinario, qualcosa di incredibile. Non
saprei proprio se descriverlo, né come descriverlo. Ieri sera ho
iniziato a sentire la mia mano destra formicolare. Ho smesso di
scrivere, ma quella sensazione non è cessata. Sono andato a dormire
e mi sono svegliato senza più il braccio destro. La mia reazione è
stata di stupefacente naturalezza. Mi sono comportato come se fossi
senza braccio da sempre. E non solo io, anche tutti coloro che mi
conoscono non hanno dato cenni di sorpresa nel vedermi in queste
condizioni.
Dopo
pranzo l’ho vista fuori dalla finestra della mia stanza. Era sul
marciapiede, indossava una vestito color carta da zucchero. Sembrava
stesse aspettando qualcuno. Mi ha visto e mi ha salutato. Ha detto
qualcosa, ma non sono riuscito a sentirla. Ho provato a interpretare
le parole attraverso il movimento delle sue labbra, ma ho avuto la
tremenda sensazione di non riconoscerle. Non era italiano e non era
inglese. Ho pensato conoscesse altre lingue.
Eppure,
per un istante, ho provato orrore. Si tratta di quella sensazione che
si prova d’innanzi al diverso che irrompe bruscamente nella
quotidiana e confortevole consuetudine. Comunque, sono uscito e le
sono andato incontro.
«Cosa
ci fai qui?» ho
domandato.
Lei
ha sorriso. «Volevo
vederti».
Non
mi sarei mai aspettato una risposta di quel genere. Ho sentito come
qualcosa stringere il mio petto, un brulicante fastidio allo stomaco
e tanta, parecchia euforia.
Ha
detto di sentirsi sola. Si era trasferita in quella città da molto
lontano. Non mi ha detto da dove provenisse. Il suo accento è
italiano. Non ho mai avuto il desiderio di chiederle altro, a
riguardo. Si sente sola, dicevo, e ha preso a riflettere molto. A
pensare.
«Hai
un sogno?» mi ha detto,
all’improvviso.
«Sì,
credo».
«Pensi
intensamente al tuo sogno?»
Io
ho scosso la testa. La verità è che non ho un sogno perché non
posso sognare lei e lei invece sogna me. Io sono il suo pensiero e
non posso non esserlo.
Si è
grattata la testa, con le sue unghie sottili ricoperte da uno smalto
di una sfumatura simile a quella del suo vestito.
«Conosci
la teoria della relatività linguistica di Sapir-Whorf?»
Io
ho scosso la testa.
«Ci
sono linguisti di questa Terra che l’hanno smentita. In sostanza,
questa teoria afferma che il modo di pensare di un individuo è
influenzato dalla lingua che parla».
«E
cosa vorrebbe dire?»
Lei
mi ha guardato negli occhi e in quel momento ho sperimentato
quell’incastro di sguardi che anelo da quando l’ho conosciuta.
Per un attimo le sue pupille sono scomparse. Davvero, non si tratta
di una metafora.
«In
che lingua credi di pensare, tu?»
Ho
alzato le spalle e risposto: «In
italiano».
«E
in che lingua parli, in genere?»
«In…
italiano!»
Lei
non ha cambiato espressione. «È
così semplice».
Quando
se n’è andata, sono rimasto a fissarla, come ipnotizzato. Lei non
si è voltata nemmeno una volta.
Non
riesco a dormire. Non capisco cosa mi sta succedendo. Per qualche ora
ho perso la vista, poi l’udito. A un certo punto credo di non avere
più avuto una forma umanoide. Ora sento entrambe le braccia e le
gambe. Lei si è calmata, forse si è addormentata perché sento
sonno anch’io. Devo entrare nei suoi sogni. Devo dormire. Devo
sparire.
Sono
un pensiero imperfetto.
Oggi
non sono andato a lezione. Ho riflettuto molto su quello che ho
provato questa notte. Ho riletto le mie precedenti note. Ogni volta
non ricordo di avere scritto determinate cose. Credo, in realtà, che
io non voglia accettare la verità. Lei non è un essere umano. E io
non ne sono innamorato. Mi ha creato e non sono io a desiderare lei
come se non potessi farne a meno; non sono che un suo prodotto,
confuso e incompleto. Lei pensa, dunque sono.
Secondo
la teoria di Sapir-Whorf, il modo di pensare è influenzato dalla
propria lingua. Lei ha studiato l’italiano e l’inglese e chissà
cos’altro per confondersi tra di noi, ma la lingua in cui pensa è
molto distante da quelle conosciute sulla Terra. Io sono la lingua in
cui pensa.
Caro
lettore, se stai leggendo queste mie note, potresti avere difficoltà
a immaginare quello che sto per scrivere, quello che ho capito, o che
credo di aver compreso. Lei esprime cose concrete, quindi il suo modo
di pensare genera cose come me. Dovrei spiegarmi meglio. Forse per il
popolo a cui lei appartiene, far comparire qualcosa, un sasso, ad
esempio, potrebbe significare quello che un italiano esprime
affermando di non sentirsi bene, quindi quando lei non si sente bene,
nella sua mente vorticano sassi, non parole; ma sassi concreti, non
immagini. Possono essere toccati e lanciati e frantumati.
Io
sono nato nella sua mente e nella sua mente vivo come un oggetto
concreto, animato e intelligente; ma sono anche qui fuori, e parlo
italiano, penso italiano, posso ridere e scherzare, posso amare e
posso odiare.
Chissà
cosa stava pensando quando ha pensato me.
E
ora mi domando: tutti gli abitanti di questa Terra sono pensieri di
gente come lei? Forse sono soltanto io a essere diverso. Fin da
bambino sono stato attratto dall’intelligenza artificiale, e solo
ora mi accorgo quanto io possa essere simile a un prodotto di questa
disciplina. Se noi siamo stati creati da un Dio, lei è quanto di più
simile a esso. Se un’intelligenza artificiale un giorno dovesse
pensare, come lo sto facendo anch’io, il suo creatore sarebbe
simile a lei che è simile a Dio.
Domani
seguirò la lezione con lei, consapevole di essere quello che sono.
Un giorno mi piacerebbe poter sentire la lingua in cui pensa. Chissà
cosa accadrebbe se la imparassi anch’io.
Pietro dell'Oglio